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giovedì 18 ottobre 2018

lunedì 24 settembre 2018

Ora devo parlarti, la lettera di Liliana a suo nipote


" …Non ti ho raggiunto… ma non terrò conto del viaggio in sé, quando potrò raccontarti” (Emily Dickinson)

Sono passati 14 anni, caro ragazzo mio, ed ora è proprio necessario parlarti. Ho aspettato che ti sistemassero la vita, come si fa con un armadio, riordinando con cura per far pensare che si è capaci d’esprit de finesse; si è deciso che per te fosse più importante quello che più fosse stato pubblico ed apprezzabile, cose come i calzini di filo di Scozia e la scuola di calcio, e la fisarmonica e il catechismo nelle sacristie opprimenti, le feste di compleanno a bordo di piscina illuminata , e tutto un mulino bianco. 
Ti parlo adesso senza rammaricarmi delle tante occasioni perdute; queste non sono “le parole d’amor che non ti dissi”, ma piuttosto un racconto di fatti, perché la verità va salvaguardata, sempre, e quanto più è scomoda tanto più deve essere portata alla luce. In questi anni ho incontrato centinaia di ragazzi di tutta Italia, per far conoscere loro le storie di questa Calabria lacrimosa e l’irrinunciabile diritto a sperare , perciò mi sento proprio un artigiano narratore, e poi so tanto di te, ragazzo sensibile e riflessivo. 
La lettera è stata pubblicata dalla Gazzzetta del Sud
il 24/09/08 a cura di Giuseppe Tumino 
Ti ho immaginato cercandoti in frasi trite e ridondanti ipocrisia, in cartacce esaltate come testimonianze altamente morali e come esercitazione di professionalità rara , che non erano se non conclusioni vischiose della pusillanimità e della superficialità di chi ti considerava un numero su un fascicolo, di chi ancora oltraggiava la tua intelligenza mentendo, come a un robottino ubbidiente, e trattandoti come se più che minorenne tu fossi un minus. . Ancora non so come, quando, da chi , ti sia precipitata addosso la verità, quella che sarebbe dovuta essere una fiaba triste, raccontata con il sostegno di empatia e di gradualità, ma pur sempre una fiaba. Invece, deve essere accaduto proprio come si paventava : ”… perdurando il silenzio sul delitto acquisirà la verità sulle sue origini in modo violento e becero…”. 
Ti vidi la prima volta nell’indefinibile sorpresa di un’ecografia, e poi incontrai più volte il tuo viso chiaro.  Parlare a te è facile, anche se quando sei stato bambino non ti ho accompagnato a cercare Bellezza tenendoti per mano, è facile anche se non siamo mai stati vicini seduti a fare le paginette e i pensierini che disegnano il mondo . E’ facile perché ti conosco bene, perché tu somigli a mio figlio. 
Avevo un figlio bellissimo e generoso, che non sorrideva perché il sorriso glielo avevano rubato, e gli negavano l’affetto più grande. Donava il suo sangue ai bambini talassemici, curava pianticelle di basilico e menta, era un figlio buono e laborioso. Avevo un figlio alto e forte che ascoltava la canzone di Goldrake, e una sera come in un presentimento mi dedicò “Per sempre” di Celentano. Avevo un figlio che ho accompagnato all’altare, elegantissimo e profumato, ma non l’ha visto nessuno, perché era chiuso in una bara. Una sera di settembre i miei figli, fratelli che condividevano passioni e progetti, tornavano da una partita di calcetto. C’era un albicocco ancora verde , in cortile, e dietro il muro c’era una lupara. Ho qui nell’orecchio il rumore breve di quello sparo, ce l’ho nella mente. 
Avevo un figlio che è rimasto in croce per sei giorni, ma che ha trovato il fiato di raccomandarmi la sua creatura. Non è spirato maledicendo, ma invece ringraziando quanti- e sono stati molti , generosi e competenti - si prodigavano per lui, nell’Ospedale di Locri. E ai Dottori Tallarida, Brugnano, Mantegna affidava ancora un saluto per noi. Perché ti racconto queste cose? Perché non scelgo espressioni di più grande efficacia comunicativa per impressionare quanti leggeranno , e magari per impressionare te? Non so neppure se ti raggiungeranno queste mie parole, ma i fatti questi sono, e non devo elaborarli per renderli più interessanti , dal momento che la mia voce è stata sempre veritiera e leale, in un oceano di chiacchiere pretestuose e ipocrite e opportuniste. Attorno a te si sono mossi soloni e tromboni, sedicenti pedagoghi e “gente di chiesa e di scuola”. Tanti si sentivano i soli depositari del giudizio, i soli capaci di fare analisi e, persino, molti suggerivano azioni risolutive… Sentenze sputate,gratuite, impietose, che mi comparavano con altre situazioni, delegittimando le mie istanze , che finchè vivo continuerò a rinnovare perché credo in una Giustizia indivisibile dalla Carità. 
Nella realtà della “dignitudine”, dei malintesi legami di sangue , di un utilitaristico senso di “amicizia”, nelle molte sfaccettature della violenza agita o anche solo accettata, tanti si sono dichiarati esperti, alla luce di questi loro disvalori, dell’etica per un figlio. Alcuni, come in altre occasioni mediaticamente solenni, aspettavano di misurare le mie lacrime, come se io fossi una prefica d’Aspromonte; molti s’impegnavano a correggermi perche non perdòno, “ eh ma quantu siti mala”… Ma l’Amore è paziente, e istruisce gli ignoranti : “per dono”, vuol dire “in regalo” e, se può servire a qualcuno, gli cedo la mia ecumenica quota di aria, mai la vita di mio figlio, che a Lui apparteneva. Tu diventavi grande ed io attraversavo tribunali, perché non ero, io, la madre biblica che si sarebbe contentata di carne squarciata. 
L’Amore è mite, e tutto sopporta: ed è stato per me così importante il tuo benessere esistenziale, lo è tuttora, e così forte è ancora l’imperativo morale che mi alimenta, non il coraggio, che ho salutato in una seconda bara il figlio mio splendido. C’era stato un giuramento sulla tua testa di innocente, un’oscena blasfema menzogna che ha portato – per Affari di Giustizia – alla profanazione di una tomba consacrata 929 giorni prima. Mio figlio è Massimiliano Carbone, e la Sua Memoria è il mio riscatto. A te, oggi uomo fatto e finito , ora che ti proietti nell’autodeterminazione della tua esistenza e che ti avvii a proseguire gli studi, auguro di essere capace di attaccare il tuo carro alle stelle, di rivendicare sempre e dovunque il tuo diritto alla rabbia per le cose che ami, vincendo ogni mediocrità e ogni rassegnazione. 
Ti raccomando una cosa , e che sia per te un’assunzione di impegno, te ne faccio preghiera, perché so che vuoi fare il medico, e dunque conoscerai compiutamente la sofferenza nelle sue molteplici forme e ti voterai a curare e confortare: inchìnati a Cristo che rappresenta il dolore dell’umanità, e al cristo mio non risorto dalla sua pietra violata. Vedrai madri sorreggere figli straziati e ti troverai davanti alle scene impossibili ed alle pose tremende delle Pietà rinascimentali. Vedrai malattia e agonia, vedrai cadaveri. Vedrai il miracolo di Dio nella sua terribile fragilità, come io ho dovuto vedere il corpo santo di mio figlio fatto a pezzi in un’autopsia che mi è stata illustrata con centinaia di pagine e 76 fotografie a colori. Vedrai la pochezza e la caducità delle cose terrene, tutte, durante un’esumazione. Conoscerai la vita nel suo riprodursi così perfetto , colori e umori e gesti e attitudini, come ti spiegherebbero quelle Consulenze di Genetica che tutto dicono di te, un dna che ti rende compatibile al 99,999999%... con mio figlio , giovane uomo sano e bello, 30 anni per sempre in un camposanto. Spesso dimenticherai il suo nome, non lo porterai nel cuore o nella mente, sarà assente nelle tue preghiere come lo è stato nei tuoi occhi ma tu, stanne certo, sei nato di magnifico e non colpevole amore , e sei stato amato con tenerezza e sacrificio; perciò sii degno dei tuoi talenti e con fierezza porta onore alla Memoria di questo ragazzo di Locri ucciso perché era amabile, e così umiliava i miserabili, gli ominicchi disonorati che pagano in soldi e armi e monili d’oro per fare cancellare quella grandezza e quella Bellezza che a loro fanno ombra, e incaricano di sparare uno che tira bene nell’oscurità con un canne mozze caricato a pallettoni per cinghiale. “Guai a voi che avete dimenticato la Giustizia e la pietà”, dice sant’Agostino. “ Guai a voi che avete negato verità e rubato speranza” dico, con il mio lutto che condanna, io che sono autorevole e qualificata a questo mònito, perché sono la mamma di tuo padre.

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